Da qualche tempo la globalizzazione viene celebrata e allo stesso tempo criticata, ma quello che la pandemia di Covid-19 ha insegnato a tutti è che dobbiamo ragionare ad un livello che inglobi un’area geografica più vasta di quella a cui molti di noi erano abituati. Se non tutti i Paesi possono partecipare a una campagna vaccinale, non saremo in grado di sconfiggere il virus e le sue varianti: nessuno è al sicuro se non tutti sono al sicuro.
Per i traduttori, però, pensare oltre i confini nazionali è un’attività all’ordine del giorno. È evidente che la loro “scala” di pensiero, così come quella degli studiosi di traduzione, supera i confini linguistici e culturali stabiliti dalle comunità. Possono le loro attività sociali e cognitive diventare un modello da seguire per il mondo intero? Può lo studio dell’evento traduttivo nel suo complesso contribuire a un mondo senza pandemia? Cosa ci insegnano oggi gli studi sulla traduzione in primis riguardo alla nozione di “scala”?
È da una delle discipline ausiliari alla traduttologia, ovvero la terminologia, che impariamo come non ci sia bisogno che una parola sia concepita allo stesso modo da tutti. Non c’è motivo per cui in italiano la parola scala, per esempio, debba essere concepita esattamente allo stesso modo da tutti. Molti parlanti non nativi dell’italiano probabilmente la associano alla rappresentazione mentale che hanno costruito per questa parola nella propria lingua madre, sia essa escala, échelle, Skala, κλίμακα o 規模. Un’analisi terminologica plurilingue che esaminasse il termine scala con un approccio concettuale multiprospettico ci porterebbe, in realtà, ad una nozione diversificata di scala. Attraverso un’operazione di crowdsourcing su larga scala per la traduzione della parola scala e le unità di misura in diverse lingue, scopriremmo probabilmente un’ampia gamma di connotazioni associate al termine. Allo stesso modo, l’occorrenza dei termini sia in corpora tradotti sia in corpora non tradotti (quali il Translational English Corpus e il British National Corpus) metterebbe in luce il trasferimento della nozione di misura da una cultura all’altra da parte dei traduttori. Gli esempi che seguono illustrano come la nozione di scala possa differire tra il testo di partenza e la relativa traduzione:
Testo di partenza:
soep van longvlees, zestig pfennig voor een pond (NL)
[soup of lung meat, sixty pfennig for a pound]
Testo di arrivo:
lung soup, sixty pfennig a pint (EN)
Mentre in questo esempio il lettore del testo di partenza olandese tenderà a pensare a unità di misura per il peso, il lettore del testo in inglese penserà a unità di misura per i liquidi. La nozione di scala talvolta scompare in traduzione, come si può vedere nel seguente esempio tratto dal Dutch Parallel Corpus:
Testo di partenza:
Was this celebrity hubris on a massive scale? (EN)
Testo di arrivo:
Dacht hij dat hij zich dat als beroemdheid zomaar kon veroorloven? (NL)
[Did he think he – being a celebrity – could afford this just like that?]
In questo caso il testo di partenza fa riferimento ad un (massive, cioè altissimo) livello di arroganza dei vip, mentre il testo di arrivo evidenzia un problema con le conseguenze del comportamento di una persona in particolare. Un filone di ricerca che analizzi la sottile differenza di significato tra il testo di partenza e quello di arrivo contribuirebbe indubbiamente agli studi sulla traduzione a livello concettuale e basati sui corpora, come descritto per esempio da De Sutter et al. (2012), con un metodo qualitativo e quantitativo combinato.
Oltre al campo della terminologia, all’interno degli studi sulla traduzione troviamo un altro filone di ricerca in cui la nozione di scala gioca un ruolo chiave per cui potrebbero rivelarsi utili ulteriori ricerche in merito. Per gli studi sul processo traduttivo, condotti utilizzando le tecniche dell’eye tracking e del keystroke logging (si veda ad esempio Vandepitte et al. 2015), potrebbe essere utile approfondire la relazione fra le scale impiegate negli esperimenti, ossia le unità di misura, come il numero e la durata delle pause, le fissazioni oculari e le regressioni, e il numero e la tipologia di revisioni.
Sorgono spontanee domande alle quali non è ancora stata data una risposta soddisfacente: in che modo tutte queste misurazioni e le relative unità di misura si relazionano direttamente (1) con la “scatola nera” della mente, (2) con il prodotto della traduzione stesso e, ad esempio, con il problema della scala delle unità traduttive (Jakobsen & Jensen 2009), nonché (3) con l’impatto che il prodotto ha sul lettore (si veda, ad esempio, Göpferich 2009, Chiaro 2012).
Tutte queste relazioni implicano l’accostamento di scale di natura diversa. Per esempio, assumendo che sia possibile, come confrontare i dati di uno studio di processo sulle metafore nella traduzione a vista (Xiang & Zheng 2013) con uno studio di processo sulla traduzione di espressioni metonimiche? O, ancora, in che misura i risultati quantitativi delle indagini sulla comprensibilità dei testi (ad esempio, il progetto Hendi1]) possono essere messi in relazione con le scale impiegate dai sociologi per indagare gli aspetti sociologici della traduzione (Tyulenev 2013)?
Un terzo filone di ricerca degli studi sulla traduzione basato sulla nozione di scala si concentra sulla questione della valutazione della qualità della traduzione. Si tratta di una tematica ampiamente discussa sia nel mondo professionale con le sue metriche (ad esempio i punteggi Bleu), tra i traduttori letterari e i critici della traduzione, sia nel mondo accademico e nella formazione dei traduttori. Le discussioni si concentrano solitamente sulla giustapposizione di scale di natura diversa, ciascuna con i propri scopi e finalità. Quali sono esattamente le analogie e le differenze tra le scale adottate e quali elementi sono stati inseriti nelle scale oppure omessi, consapevolmente o inconsapevolmente?
Potremmo ad esempio prendere in esame un caso nell’ambito della formazione dei traduttori. Al fine di offrire agli studenti testi adeguati al loro livello di apprendimento, i docenti potrebbero voler valutare la traducibilità dei testi di partenza. Questa caratteristica di un testo può spesso giocare un ruolo importante nel processo di valutazione: il numero di problemi traduttivi e il loro grado di difficoltà non sono determinati facilmente o in modo uniforme. La traducibilità è una nozione di per sé misurabile? Il noto traduttologo Toury pensa che lo sia quando definisce e caratterizza la traducibilità come segue: “il potenziale iniziale di stabilire una corrispondenza ottimale tra un testo della L[ingua]A[rrivo] [...] e un testo della L[ingua] di P[artenza] corrispondente [...]. Questa corrispondenza può essere compresa tra 0 e 1, inesistente e assoluta, senza mai raggiungere nessuno dei due estremi (questo dipende ovviamente da come viene calibrata la scala di traducibilità)” (Toury 2011). Ma questo è valido in tutte le circostanze? Le metriche utilizzate oggi hanno una qualche somiglianza con l’obiettivo di Toury?
Nel complesso, non sembra esserci ancora un filone di ricerca che possa essere direttamente correlato alla domanda sulla possibilità che i traduttori e gli studiosi di traduzione incarnino o meno caratteristiche che possano contribuire direttamente (o, molto probabilmente, indirettamente) alla soluzione della crisi attuale. Si tratta di una domanda a cui non è possibile dare una risposta immediata. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che mentre la pandemia ci obbliga ad estendere le nostre riflessioni a tutta l’umanità per risolvere la crisi in corso, e mentre la nostra consapevolezza della riduzione della biodiversità e dei pericoli preannunciati dai cambiamenti climatici spingono le nostre considerazioni nella stessa direzione, questo blog rappresenta già un evidente e splendido esempio di collaborazione su una scala più ampia rispetto a quella a cui i docenti di traduzione hanno lavorato finora.
Bibliografia
Chiaro, Delia (a cura di). 2012. Translation and Humour 2. London: Bloomsbury.
De Sutter, Gert, Patrick Goethals, Torsten Leuschner & Sonia Vandepitte. 2012. “Towards methodologically more rigorous corpus-based translation studies”. Across Languages and Cultures, 13:2, pp. 137-143.
Göpferich, Susanne. 2009. “Comprehensibility assessment using the Karlsruhe Comprehensibility Concept”. The Journal of Specialised Translation 11, pp. 31-53.
Jakobsen, Arnt Lykke & Kristian Jensen. 2009. “Eye Movement Behaviour Across Four Different Types of Reading Task”. In Susanne Göpferich, Arnt L. Jakobsen & Inger Mees (a cura di). Looking at Eyes – Eye Tracking Studies of Reading and Translation Processing. Copenhagen Studies in Language 36. Copenhagen: Samfundslitteratur. pp. 103-124.
Toury, Gideon. 2011. Handbook of Translation Studies 2 (pp. 169–174). [Online]. https://benjamins.com/online/hts/ [31.05.2015].
Tyulenev, Sergey. 2013. “Social systems and translation”. In Yves Gambier, Luc van Doorslaer, Handbook of Translation Studies 4. pp. 160-166. [Online]. https://www.benjamins.com/online/hts/articles/soc4?q=Social%20systems%2… [31.05.2015].
Vandepitte, Sonia, Robert Hartsuiker & Eva van Assche. 2015. “Process and text studies of a translation problem”. In John Schwieter and Aline Ferreira (a cura di), Psycholinguistic and cognitive inquiries in translation and interpretation studies. John Benjamins Translation Library. Amsterdam: J. Benjamins. pp. 127-143.
Xiang, Xia & Binghan Zheng. 2013. “Processing metaphorical expressions in sight translation: an empirical–experimental research”. Babel 59:2, pp. 160-183.
[1] Hendi ha sviluppato uno strumento per la valutazione automatica della chiarezza di testi paralleli e comparabili in inglese e neerlandese.
Dettagli
- Data di pubblicazione
- 6 aprile 2021
- Lingua
- neerlandese
- inglese
- italiano
- Categoria EMT
- Problemi della traduzione